giovedì 20 febbraio 2014

La lezione del caso Electrolux

Perché l’ortodossia classica (liberista e keynesiana) che suggerisce di passare a produzioni ad alto valore aggiunto non risolve più, oggi, la crisi industriale italiana. Che chiede un’altra riconversione possibile.  di Guido Viale (Il Manifesto 19/02/2014)


Che fare quando il padrone di un’azienda decide di chiu­derla, o di tra­sfe­rirla all’estero per pagare meno tasse, o per pagare meno gli ope­rai, o per poter inqui­nare l’ambiente senza tante sto­rie? A lume di naso, la prima cosa da fare è requi­sire l’azienda (i sin­daci hanno il potere di farlo, se non altro per motivi di ordine pub­blico) e impe­dir­gli di por­tar via i mac­chi­nari. Poi biso­gne­rebbe bloc­car­gli i conti e farsi resti­tuire i fondi che, 90 pro­ba­bi­lità su 100, ha già rice­vuto dallo Stato sotto forma di con­tri­buti a fondo per­duto, cre­dito age­vo­lato, sconti fiscali e con­tri­bu­tivi (ma qui dovreb­bero inter­ve­nire anche altre isti­tu­zioni: Governo e magi­stra­tura). A mag­gior ragione que­sto vale se l’imprenditore in que­stione pone delle con­di­zioni inac­cet­ta­bili per “restare”: per esem­pio dimez­zare i salari, come all’Electrolux.